Abstract
Questo articolo esplora le complesse dinamiche della mobilità internazionale lungo le rotte balcaniche, analizzando le ripercussioni delle politiche di esternalizzazione delle frontiere dell’Unione Europea sulle esperienze vissute dai migranti. Attraverso un approccio etnografico fondato sull’osservazione partecipante e sul lavoro sul campo condotto in collaborazione con un movimento indipendente in Bosnia-Erzegovina, lo studio dimostra come i confini operino non soltanto come demarcazioni territoriali, ma anche come costrutti politici, sociali e di classe. Le testimonianze dirette raccolte rivelano pratiche sistematiche di respingimenti e violenze alle frontiere, inclusi casi di tortura e trattamenti disumanizzanti lungo il confine croato-bosniaco. L’articolo avanza inoltre riflessioni sociologiche sul nesso tra violenza di Stato e controllo dei confini, nonché considerazioni politiche in merito alle responsabilità istituzionali nella gestione delle frontiere esterne dell’UE.